Le conversazioni con ChatGPT indicizzate su Google: ecco l’AI che ci “spia”

Hai voglia di imparare l’arte del prompting se poi il contenuto delle chat con ChatGPT finisce nella Rete e diventa disponibile a chiunque. Non è una provocazione estemporanea e che lascia il tempo che trova quella che ha sollevato il portale FastCompany.com, pubblicando un articolo da cui si può desumere come poter recuperare su Google circa 4500 conversazioni tra utenti anonimi e la chatbot generativa di OpenAI. La scoperta riguarda interazioni in diverse lingue e sui tempi più disparati, da argomenti di stretta attualità a questioni anche sensibili come problemi di salute molto gravi, ma la domanda è soprattutto un’altra, ovvero sia la seguente: come può il motore di ricerca di BigG indicizzare queste conversazioni se tutto il flusso di domande e risposte è secretato e nessuno (nemmeno OpenAI) può accedere alle chat degli utenti? Ciò che più o meno tutti sanno è che la creatura di Sam Altman (e così fanno anche le altre intelligenze generative) può utilizzare in forma anonima il contenuto di queste conversazioni per migliorare i modelli di AI e solo se se l’utente sceglie di contribuire al processo di addestramento dei modelli. Cosa è quindi successo?
Il segreto che ha svelato FastCompany è in realtà una procedura tecnica, ovviamente sconosciuta ai più. In poche parole, se si mette una spunta sulla casella che abilita il comando di “rendere la chat ricercabile” ecco che la stessa diventa un contenuto visualizzabile nelle ricerche sul Web, e quindi indicizzabile sui motori di ricerca. OpenAI, ed è un fatto di dominio pubblico, offre da tempo agli utenti la possibilità di condividere i dialoghi con ChatGpt attraverso un sistema che genera un link (contenente esclusivamente i contenuti della conversazione e non i dati personali di chi lo ha generato) che può essere per l’appunto condiviso da chiunque ne entri in possesso. Come si può evitare di mettere in piazza le proprie interazioni con l’AI? La risposta è molto più semplice di quanto non si possa pensare: basta lasciare disattivata questa funzione così come prevista di default, e quindi evitare di selezionarla e di togliere sostanzialmente il velo della privacy alle proprie conversazioni.
OpenAI, da parte propria, ha deciso di disattivare la funzione che consentiva agli utenti di rendere le proprie conversazioni indicizzabili dai motori di ricerca e come ha scritto su X il suo Chief Information Security Officer, Dane Stuckey, il motivo è presto spiegato: “abbiamo ritenuto che questa funzione introducesse troppe possibilità che gli utenti condividessero accidentalmente contenuti indesiderati. Stiamo rimuovendo l’opzione e lavorando per eliminare dai motori di ricerca i contenuti già indicizzati”. La saga della GenAI, intanto, ha conosciuto un altro capitolo.
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